GIORNALINO "NASCI DI NUOVO" N°44

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Caratterizzato da co­lori e schiamazzi, il Carnevale è conside­rata la festa dell'alle­gria per eccellenza. Uomini di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cer­cando di liberare la fantasia e di catturare un po' di felicità. Lo scherzo “vale” ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire…

L'etimologia del termine "carnevale" ri­sale, con ogni probabilità, al latino car­nem levare, espressione con cui nel Me­dioevo si indicava la prescrizione eccle­siastica di astenersi dal mangiare carne a partire dal primo giorno di Quaresima, vale a dire dal giorno successivo alla fine del carnevale, sino al "giovedì santo" prima della Pasqua. Il carnevale infatti, nel calendario liturgico cattolico-romano si colloca necessariamente tra l'Epifania (6 gennaio) e la Quaresima. Le prime te­stimonianze documentarie del carnevale risalgono ad epoca medievale (sin dal­l'VIII sec. ca.) e parlano di una festa ca­ratterizzata da uno sregolato godimento di cibi, bevande e piaceri sensuali. Per tutto il periodo si sovvertiva l'ordine so­ciale vigente e si scambiavano i ruoli so­liti, nascondendo la vecchia identità die­tro delle maschere…

Studi sul significato psicologico della volontà di indossare una maschera hanno mostrato che l'irresistibile attra­zione esercitata dal carnevale sta pro­prio nella possibilità di smettere di es­sere se stessi per assumere le sem­bianze e il comportamento della ma­schera. Questa scelta, quando non è condizionata da fattori economici, rivela interessanti, e talvolta inaspettati, aspetti psicologici di una persona…

Il Carnevale è il riconoscimento di quella ambiguità che, mescolando bene e male (ci si può camuffare da angelo o da dia­volo…), confondendo realtà e appa­renza, verità e finzione, mira ad offu­scare quella lucidità e giusta inibizione che servono ad onorare Dio (Is.5:20,22; Ro.13:12-14). Per molti basta un disin­cantato: “non c'è nulla di male…” per rendere implicita l'approvazione di Dio in faccende che non Lo riguarderebbero, ma Egli non la pensa così: “E punirò gli uomini che, adagiati sulle loro fecce, di­cono in cuor loro: il Signore non fa né bene né male” (So.1:12).

Il Carnevale è espressione di una alle­grezza abbinata alla volgarità, in contra­sto con la gioia cristiana (Ro.14:17) e sconveniente alla moralità dei credenti (Ef.5:3,4), di una satira dissacratoria completamente in contrasto con la Pa­rola di Dio (Sl.1:1, II P.2: 10), che non insegna lo scherno delle autorità, bensì a pregare per esse (I Ti.2: 12).

Il Carnevale è l'esaltazione sfrenata del godimento fine a sé stesso; tale festa costituisce, tuttavia, più che un inno­cente divertimento, uno dei tanti “diver­sivi” satanici che, con la scusa di fugare noia, tristezza e desideri repressi, svia le coscienze dalle sane preoccupazioni per la condizione dell'anima dinanzi al Giu­dizio divino (Isa.30:9-11; Luca 16:19,25; I Pie.4:3,7).

Il Carnevale ha perduto nel tempo certe punte di pura stregoneria, ma sotto il manto della baldoria “scaccia pensieri”, la sostanza dell'esorcismo “scaccia spi­riti” non è scomparsa; esso è comunque una ricorrenza pagana, con tutto il suo fardello di contraddizioni inconciliabili con lo spirito e l'opera di Cristo (II Co.6:14-16). Il “carnevale religioso” rivi­sita un rituale che disonora l'unica propi­ziazione riconosciuta da Dio (I Gv.2:12). La simbologia delle ceneri ripropone una prescrizione mosaica superata dall'effi­cacia purificatoria del sacrificio di Gesù Cristo (Eb.9:11-14).

Il Carnevale insegna un falso riscatto spirituale attraverso lo sfogo delle con­cupiscenze, promovendo il peccato vo­lontario in prospettiva di un “pentimento programmato”, secondo la mortale illu­sione che si debba abbondare nel pec­cato, affinché la misericordia e la purifi­cazione sovrabbondino (Ro.6:12, 15, 21,22; Eb. 10:26-29; II P.2:20-22).

 

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Come cristiani desiderosi di vivere se­condo la volontà di Dio, non vogliamo più vivere secondo il sistema che vige nel mondo: “E non vi conformate a que­sto secolo, ma siate trasformati me­diante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per espe­rienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà” (Romani 12:2); ma “come figliuoli d'ubbi­dienza, non vi conformate alle concupi­scenze del tempo passato quando era­vate nell'ignoranza” ((I P. 1:14).

Naturalmente come genitori cristiani siamo chiamati ad istruire i nostri figli nella volontà di Dio, anche se veniamo considerati delle persone antiquate e in­capaci di rimanere al passo con i tempi, poiché la nostra preoccupazione non è quella di rimanere indietro con la società, ma di seguire Gesù Cristo il Signore in ogni cosa “esaminando che cosa sia ac­cetto al Signore. E non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; anzi, piuttosto riprendetele” (Ef. 5:10, 11).

Come credenti nati di nuovo non ab­biamo certamente bisogno d'indossare un “costume” per “divertirci o per sva­garci un po'”, perché il nostro desiderio è rispecchiare il carattere di Cristo in tutta la nostra condotta: “Chi è savio e intelli­gente fra voi? Mostri con la buona con­dotta le sue opere in mansuetudine di sapienza” (Gm. 3:13).

 


 

Perché il Matrimonio?

A partire da quale momento una coppia è realmente sposata?

Nella nostra società che si beffa sempre più dei comandamenti di Dio, si nota un numero sempre maggiore di uomini e donne che vivono insieme in unione libera, senza impegno preciso preso dinanzi alle autorità legali. Anche se la loro unione ha tutte le apparenze del matrimonio, in realtà non lo è.

È matrimonio davanti a Dio quando un uomo e una donna hanno rispettato le leggi rituali del matrimonio della società in cui vivono. L’importante è che si sappia in modo chiaro e ufficiale che due esseri si sono legati l’uno all’altro con il matrimonio.

Alla samaritana incontrata al pozzo di Giacobbe, Gesù dichiarò chiaramente che l’uomo con cui ella viveva non era suo marito (cfr. Giovanni 4:18). Se il fatto di con­dividere il suo letto avesse fatto automaticamente di lui suo marito, Gesù non avrebbe pronunciato tali parole.

La Bibbia non dà consigli sulla forma esteriore della cerimonia del matrimonio. Si nota tuttavia che parla del giorno delle nozze, quel giorno preciso a partire dal quale l’uomo e la donna si appartengono mutuamente e ufficialmente.

All’epoca di Abramo (cfr. Genesi 24:67), la cerimonia del matrimonio si svolgeva di­versamente che ai tempi di Sansone (cfr. Giudici 14:10-20) o ai tempi di Gesù (vedi “Le Nozze di Cana”, Giovanni 2:1-11). In Italia l’unico matrimonio valido è quello celebrato dall’ufficiale di Stato Civile o da un ministro di culto riconosciuto dalle autorità. È valido agli occhi di Dio che ha stabilito le autorità stesse.

 


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