La vita cristiana: una corsa e una lotta

Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l'atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile. Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l'aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato (1 Corinzi 9:24-27).

L’apostolo Paolo attraverso queste parole mette in luce alcuni aspetti della vita cristiana. Per farlo usa un’immagine che era ben chiara ai corinzi essendo appartenenti al popolo greco; l’immagine che usa è quella dei giochi olimpici.

I giochi olimpici erano un evento molto sentito nella Grecia antica e si svolgevano ogni 4 anni nella città di Olimpia. Vi erano diverse discipline che venivano disputate, ma tra le tante l’apostolo Paolo ne usa due in particolare come esempio di ciò che è anche la vita cristiana: cioè la corsa e la lotta.

L’apostolo scrive: Chiunque fa l'atleta è temperato in ogni cosa

Dal vocabolario la parola temperato significa: “di persona capace di dominare e di controllare gli istinti, gli impulsi, i desideri; moderato, sobrio; di comportamento misurato, senza eccessi”.

Gli atleti olimpici vivevano la loro vita sottoponendosi a una rigorosa disciplina che interessava ogni aspetto della loro vita. Tutto ciò che, secondo la cultura filosofica del tempo, poteva influire negativamente sull’uomo esteriore e su quello interiore veniva limitato o rimosso. Basti pensare che mentre alcune cose erano considerate normali se fatte dalle persone comuni, le stesse cose per chi faceva professione di atleta erano considerate addirittura vergognose.  

Quando poi si pensa al premio che ricevevano gli atleti vincitori nella loro disciplina, a primo impatto verrebbe spontaneo chiedersi se valeva davvero la pena vivere una vita così sacrificata; infatti al vincitore come premio veniva data una semplice corona fatta di foglie di ulivo (ghirlanda). È interessante notare a tal proposito come un certo Erodoto, che è stato uno storico greco antico, raccontò nei suoi scritti come uno dei generali dell’impero persiano del suo tempo si meravigliò nel constatare che i greci gareggiassero per una semplice corona di ulivo e non per denaro.

Risulta quindi chiaro come per alcuni che erano fuori dalla cultura greca tutto questo appariva un po’ senza senso. Ma gli atleti, e in generale tutti i greci, sapevano benissimo cosa significasse ottenere quella semplice corona di ulivo perché in realtà questo premio era sì un premio simbolico, ma che portava con sé una grande ricompensa. Infatti i vincitori venivano tributati di grandi onori e ricompense: godevano di rendite periodiche offerte dalle città di provenienza le quali andavano orgogliose della fama conquistata grazie al vincitore; venivano mantenuti in perpetuo a spese dello Stato; venivano esentati dalle tasse; sedevano nei posti d’onore agli spettacoli; venivano tributati con statue; ricevevano incarichi diplomatici o politici. Insomma, veniva largamente appagato il desiderio di gloria degli atleti che stimavano la corona d’ulivo, e i benefici che ne derivavano, più della loro stessa vita.

Anche a noi cristiani è stata preparata da Dio una corona che porta anch’essa con se una grande ricompensa. La Scrittura chiama questa corona:

-      la corona di giustizia:

Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto Giudice, mi assegnerà in quel giorno (2 Timoteo 4:8);

 

-      la corona della vita

Beato l'uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano (Giacomo 1:12);

Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita (Apocalisse. 2:10);

 

-      la corona della gloria

E quando apparirà il supremo Pastore, riceverete la corona della gloria che non appassisce (1 Pietro 5:4).

È una corona di giustizia perché essa porta con sé come ricompensa la giustizia che Dio ci ha attribuito per la fede nel Signore Gesù. Sta scritto: Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli (Apocal 3:5).

Il Signore Gesù dice che chi vince sarà vestito con una veste bianca che rappresenta nel Regno di Dio la veste dei giusti.

È la corona della vita perché essa porta con sé come ricompensa la vita eterna ottenuta per la fede nel Signore Gesù. Sta scritto: Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda (Apocalisse 2:11).

Il Signore Gesù dice che chi vince non sarà colpito dalla morte seconda che rappresenta l’eterna separazione da Dio.

È la corona della gloria perché essa porta con sé come ricompensa la partecipazione alla gloria eterna che è del Signore Gesù. Sta scritto: Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono (Apocalisse 3:21).

Il Signore Gesù dice che chi vince siederà con lui sul Suo trono e ciò significa che il Signore ci farà partecipi della Sua stessa gloria.

Non a caso sono state associate in tutte e tre i casi le parole dette dal Signore Gesù nel libro dell'Apocalisse perché la corona e le ricompense che ne derivano sono assicurate a “chi vince”.

Paolo poi aggiunge: e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile.

Si è parlato di temperanza e cioè della disciplina a cui gli atleti si sottoponevano per cercare di ottenere prima o poi quella corona di ulivo. La temperanza, o autocontrollo, non è altro che la capacità di padronanza su se stessi. Come per gli atleti olimpici anche noi cristiani dobbiamo essere temperati in ogni area della nostra vita. Dobbiamo impegnarci a vivere una vita sobria, moderata, senza eccessi, capaci di dominare gli istinti, gli impulsi e i desideri della carne piuttosto che esserne dominati, e togliere dalla nostra vita tutto ciò che sappiamo contamina il nostro intero essere: spirito, anima e corpo (Cfr. 2 Corinzi 7:1).

Perciò se gli atleti olimpici erano così determinati a disciplinare il loro intero essere solamente per cercare di aumentare la possibilità di ottenere una corona corruttibile che portava una gloria terrena e comunque passeggera, quanto più noi cristiani dobbiamo essere saggi e avveduti nella temperanza dell'intero nostro essere per la santificazione sapendo di avere la promessa di Dio, e quindi la certezza, di una corona incorruttibile e che porta con sé una gloria migliore ed eterna?

L’apostolo scrive: Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio?

Paolo fa qui riferimento alla corsa olimpica come un esempio di ciò che è anche la vita cristiana. La corsa veniva svolta nello stadio che era una pista piana e rettilinea lunga dai 100 metri in su. Questa prevedeva la partecipazione alla gara di diversi concorrenti, ma uno solo, e cioè il primo arrivato, otteneva la corona.

La corsa cristiana, invece, a differenza di quella olimpica, prevede più di un vincitore perché non si tratta di dare il premio a chi è arrivato prima degli altri, ma il premio è garantito a tutti coloro che arrivano a tagliare il traguardo e quindi a tutti quelli che portano a termine la corsa.

Se per un momento pensiamo di applicare questo ragionamento alla corsa olimpica, la garanzia a tutti i partecipanti dell'ottenimento della corona porterebbe ciascun atleta ad approcciarsi alla gara senza quello spirito di competizione e senza quella temperanza che avrebbe fatto sicuramente la differenza al raggiungimento del premio.

Allo stesso modo anche il credente potrebbe cadere nell’inganno di potersi permettere di fare le cose con comodo. Questa è una realtà che purtroppo si presenta spesso nella chiesa, infatti l’apostolo Paolo dalla sua esperienza pastorale ha potuto constatare il pericolo di un tale approccio e forse non a caso aggiunge l’esortazione: Correte in modo da riportarlo.

Paolo è come se volesse dire ai credenti: la vita cristiana è anch’essa una corsa e sebbene non si tratta di competere egoisticamente con l’obiettivo di arrivare prima degli altri è necessario però che corriamo la nostra corsa con lo stesso spirito con il quale gli atleti olimpici l’affrontano e cioè come se anche noi dovessimo ottenere quel premio prima degli altri.

Questo perché capita spesso che dopo un iniziale zelo il credente tende a perdere quel santo entusiasmo a motivo degli ostacoli che si incontrano lungo il cammino perché la pista sulla quale stiamo correndo è tutt’altro che piana e rettilinea anzi è angusta e tortuosa (Cfr. Matteo 7:13,14). Solo se affrontiamo questa corsa con questo spirito saremo capaci di arrivare al traguardo.

A tal proposito è utile osservare che gli atleti che volevano partecipare ai giochi si recavano ad Olimpia circa un mese prima dell’inizio dei giochi per mettersi alla prova e capire se era il caso di partecipare o meno. Non esisteva per loro il pensiero: “l’importante è partecipare”; infatti, durante questo periodo di prova gli atleti potevano scegliere di ritirarsi senza macchiare la loro immagine, ma una volta iscritti, ritirarsi dalla competizione costituiva una grande vergogna per sé e per la città Stato che rappresentavano.

Noi cristiani che abbiamo accettato di seguire il Signore Gesù siamo in gioco e abbiamo iniziato questa corsa e adesso c’è un solo risultato possibile all’ottenimento della corona: correre per tagliare il traguardo perché anche per noi se ci fermiamo e ci ritiriamo sarà motivo di vergogna e di disonore per il Regno che rappresentiamo. La Scrittura riguardo questa realtà ci dice:

Infatti avete bisogno di costanza, affinché, fatta la volontà di Dio, otteniate quello che vi è stato promesso. Perché: «Ancora un brevissimo tempo e colui che deve venire verrà e non tarderà; ma il mio giusto per fede vivrà; e se si tira indietro, l'anima mia non lo gradisce». Ora, noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per ottenere la vita (Ebrei 10:36-39).

Paolo infine conclude il pensiero riguardo la corsa dicendo: Io quindi corro così; non in modo incerto.

Quindi, in poche parole, è così che dobbiamo correre e cioè, prima di tutto, con la consapevolezza che questa corsa la dobbiamo affrontare con quella santa determinazione e ambizione che ci permetterà di arrivare fino alla fine, e poi temperati in ogni cosa in modo da riuscire ad affrontare e superare tutti gli ostacoli che il percorso inevitabilmente ci riserverà.

Infine Paolo fa riferimento alla lotta, in particolare tra le tante discipline cita il pugilato. Scrive: lotto al pugilato, ma non come chi batte l'aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato.

Paolo paragona la vita cristiana anche ad una gara di pugilato dove c’è un combattimento da sostenere. L’apostolo nelle sue parole parla di un combattimento contro se stesso, cioè contro il suo corpo e questo, anche se non specificato, a causa dei desideri, degli impulsi e delle passioni della carne. Il fatto che Paolo affermi di trattare duramente il suo corpo fino a ridurlo in schiavitù non significa che maltrattasse il suo corpo per impedire che i desideri della carne avessero il sopravvento su di lui, ma mette in evidenza l’arduo combattimento che è necessario sostenere per evitare che il volere della carne prevalga su quello dello Spirito. Infatti il credente deve combattere contro le tentazioni perché, sebbene il credente nato di nuovo è stato liberato dal potere del peccato, è comunque soggetto alle tentazioni che vengono dal nemico le quali si manifestano attraverso i desideri della carne.

Paolo però sottolinea l’importanza di prendere sul serio tale combattimento perché colui che lotta al pugilato, ma batte l’aria, dimostra di lottare ma senza portare nessun risultato; la sua lotta è una lotta che non porta nessuna vittoria perché non fa nessuno sforzo per vincere in quanto per farlo è necessario prevalere con forza e sacrificio sull’avversario. In sostanza colui che lotta al pugilato ma batte l’aria è colui che dimostra di sapere quale combattimento deve sostenere contro la carne, ma quando si tratta di confrontarsi con la tentazione non fa nessuno sforzo per resistere e combatterla. A riguardo la Parola ci dice: Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi (Giacomo 4:7).

Quindi c’è una parte che Dio chiede di fare a noi e che consiste nel resistere attivamente alle tentazioni del nemico combattendole con decisione attraverso una sottomissione a Dio che ci vede camminare secondo lo Spirito (Cfr. Galati 5:16), cioè compiendo le opere dello Spirito. Così facendo, in questa lotta Dio ci sosterrà e ci darà la vittoria.

Questa è la regola da seguire per evitare di essere squalificati. Infatti nel pugilato la violazione delle regole prevedeva la squalifica e la pena della fustigazione. L’apostolo Paolo in virtù della sua posizione sapeva bene che, dopo aver insegnato agli altri come dover combattere questa lotta secondo le regole e aver sottolineato l’importanza di rispettarle, non poteva permettersi di abbassare la guardia per evitare di essere lui stesso squalificato da Dio. Perciò la lotta cristiana prevede, come regola, di vivere secondo lo Spirito e non secondo la carne perché questo ci permette di ottenere quella santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore (Ebrei 12:14).  

In definitiva l’apostolo Paolo quasi al termine della sua vita poté dire:

Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione (2 Timoteo 4:7,8).

Che anche noi come l’apostolo Paolo possiamo un giorno dire con assoluta certezza nel cuore di avere corso e combattuto secondo le regole portando a termine la corsa e vincendo la battaglia alla quale siamo stati chiamati.

 

Filippo Barba